Bologna d’ Estate.

In agosto a Bologna i piccioni volano bassi. Sfiorano le teste dei pochi, sparuti turisti con una baldanza tutta loro. I portici sono completamente spogliati dalle migliaia di studenti che popolano la città durante l’anno accademico ma la loro presenza trasuda sui muri, negli archi, sui sampietrini che ne mostrano fieramente tracce indelebili. 

La famiglia bucatini, con le braccia nude che ostentano il vizio, una magrezza paurosa e tatuaggi fai da te, mi precede su via Zamboni, dove si aggirano solo spacciatori in borghese e una manciata di studenti nostalgici e annoiati. Papà Bucatino, con la voce nasale e stentata si ferma in un angolo e fa il suo dovere. Lei lo aspetta grattandosi, e credo di vedere nei suoi occhi un guizzo di luce mentre li lancia sui palazzi maestosi e sulla piazza, poco più in là, fatta di gente con la birra in mano e musica.

Mi fermo davanti al Dams. Un murale colorato esulta ed io mi chiedo perchè, perchè non ho fatto l’università qui. Alma Mater, si chiama. Chiamo mio padre per dirglielo e lui risponde sicuro: “Non te l’avrei mai pagata. Avresti fatto la vita, mica studiato”.

Fun, Cool, Oh! penso, citando l’insegna di un locale del centro. Ma ha ragione. Però avrei conosciuto Umberto Eco, magari, e il suo pupillo Enrico Brizzi, che ha scritto uno dei romanzi preferiti della mia prima giovinezza. 

Molto vicino a Piazza Maggiore c’è un portico con dipinta, sulla volta, una frase che rassicura su una protezione stupefacente e, sentendomi quasi annebbiata da tanta arte rivolgo lo sguardo a sinistra, dove svetta uno splendido edificio liberty che ospita il paradiso delle Shopping-addicted spiantate, come me. Blatero allora cose sull’edificio mentre mi dirigo verso le due lettere rosse capitali, H e M, inventando nomi di architetti famosi, ed è a questo punto che vengo minacciata dal mio compagno di viaggio, che ha capito tutto. Ho solo 10 minuti, dice. Basteranno per un paio d’occhiali nuovi, ma mi accontento.

canabis

Girovago ancora per respirare l’anima di questa città, e mi sembra un regalo inaspettato il fatto di poterla vedere beatamente dormiente, senza la vita frenetica che ne calpesti le strade e i luoghi nascosti. Qui puoi affacciarti da una finestra e sentirti a Venezia, appoggiare l’orecchio su una colonna e sentire quello che bisbiglia qualcuno dalla colonna opposta. Qui, ora, c’è la mostra di David Bowie, e c’è chi si fa il bagno in mutande nella fontana del Mambo. E i teatri, i personaggi del film Paz! che sbucano inaspettati da un vicolo, talvolta, mi portano indietro nel tempo, a ricordarmi chi sono.

Quasi, mi riconosco, qui.

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