Tutti ar male!

Li vedo incedere con passo inesorabile, i tre maschietti in prima linea e i genitori nelle retrovie con un cane bastardo dalla lingua penzoloni. Sono compatti e schierati come un plotone d’esecuzione: imbracciano un ombrellone-carabina a righe, sdraio e viveri in spalla, pallone pronto a schizzare a razzo. Sollevano nuvole di sabbia ed emettono urla degne delle scene più sanguinose del film 300

I condannati a morte siamo noi, incauti bagnanti silenziosi che hanno avuto l’ardire di trascorrere la domenica sul litorale romano, il più vicino a casa. Un imperdonabile errore di valutazione. Questa è la punizione divina, penso, per non aver avuto l’umiltà di schiattare a testa bassa e grondante a casa, nella piscinetta di un metro riempita col tubo giallo. Perché la domenica, se vai al mare, lo fai a tuo rischio e pericolo, e ne paghi le inevitabili conseguenze.

Ovviamente, il plotone si posiziona proprio di fronte a noi, lanciando occhiate schifate ai nostri asciugamani accartocciati sulla nuda spiaggia, ai nostri libri e all’ombrellone sbilenco. 

Hanno tutto il necessaire per trascorrere una piacevole giornata in spiaggia: bocce, pallone, gli ultimi numeri di Gente e Novella 2000, la gazzetta dello sport e provviste per una settimana, che includono panini con porchetta e mortazza, vino in cartone, Coca Cola, patatine. 

Ci considerano esseri inferiori, lo avverto dalla spavalderia con cui il primogenito preadolescente pianta il parasole di Decathlon grigio e arancio (riconosco il cartellino, ancora attaccato, che svolazza blu con la cifra 34,99); ecco, lo ficca nella sabbia facendolo roteare perché sia ben saldo, come un vessillo che sancisce la conquista di un luogo. Mentre tutti si danno un gran da fare per tirare su in tempi record il campo di battaglia, grazie al volume vertiginoso con cui comunicano e alla pericolosa vicinanza, apprendo numerosi dettagli personali della famiglia Maleducati, discussi con la mano a cucchiarella (1) tra genitori, mentre i figli si tirano capelli, sabbia e deliziose mini-bestemmie appena edulcorate

La moglie accusa il marito di aver allungato gli occhi sulle tette rifatte che ammiccano sul bagnasciuga e lui la butta amabilmente in caciara(2), rigirando la frittata e contrattaccando con allusioni a dichiarate fantasie erotiche della consorte sui pretendenti di Maria de Filippi. L’unico che sembra davvero estraneo a tutto questo caos è il bastardino marrone, che si è piazzato con sguardo malinconico di fronte alle onde, dando le spalle ai suoi padroni e sganciando un ricordo del colore del suo pelo a qualche fortunato che lo calpesterà.

Quando una delle numerose parolacce sparate a raffica dalla prole colpisce chiaramente l’orecchio del pater familias, questi si gira di scatto e chiede serio al primogenito: “Che hai detto, appapà?” Quello sfodera il miglior sorriso da paraculo che ha e risponde pronto: “Ma Vaffarsugo!” L’espressione tirata del padre esplode in una risata sputacchiata verso la consorte, che si pulisce schifata le guance imperlate dalla saliva coniugale. “Amò, hai sentito che forte Kevin?”, le fa, gonfio d’orgoglio, prima di rivolgersi di nuovo al suo pupillo. “Aò, sei forte come me! Ma lo sai che papà quando c’aveva l’età tua ha fatto a comparsa ar Cinema?” 

“E Sti Casting???”, gli urla quello dribblandolo con maestria, prima di scomparire dalla sua vista, verso il mare verde di alghe.

Note

  1. Mano posizionata a mò di cucchiaio accanto alla cavità orale, per amplificare il suono e dare forza ai concetti espressi.
  2.  Confondere l’interlocutore, spostare il discorso su un altro piano per nascondere errori o malefatte.
No, questo non è il litorale romano, bensì la Sicilia, Cefalù. E’ dove avrei voluto essere, invece di Ostia

L’arte di imbucarsi

La ragazza dal tailleur blu navy alla reception ci guarda dietro i suoi occhiali griffati con una fissità assente, condita da due labbra rosse appena socchiuse che le conferiscono un’aria al limite fra demenza giovanile e bionda sensualità .

Ce la possiamo fare. L’impresa è titanica: riuscire a sfondare la coltre di mistero che avvolge la Nuvola di Fuksas, il Centro Congressi inaugurato l’anno scorso dopo una gestazione quasi ventennale, irrivabile al comune cittadino che voglia ammirare cotanta opera architettonica.
I miei sacri ospiti emigrati dal Veneto a Bruxelles per un futuro migliore, dopo aver visitato i maestosi monumenti della Città Eterna, hanno espresso il forte desiderio di tentare l’impossibile: conoscere l’altra faccia della Capitale, la modernità realizzata dall’architetto di grido. Non me la sono sentita di deluderli, cosí ci siamo lanciati nella metro B per spingerci fino all’Eur e intraprendere la tracotante impresa.
Nel Centro Congressi oggi c’è un Forum su non so cosa e Flavio, condottiero della spedizione, avanza un piano diabolico: imbucarci spudoratamente all’evento, sperando magari di svoltare il pranzo e un discreto stato di ebrezza al buffet.
Nonostante i loro posti di prestigio alla Commissione Europea, i miei ospiti che varcano l’entrata della Nuvola sono vestiti da turista medio: calzoncini corti, t-shirt con alone sub- ascellare e abbronzatura color rosso fuoco, regalata il giorno prima da un giro completo intorno al lago di Castel Gandolfo in ore improbabili.
Intorno a noi sta un esercito di giacche e cravatte, che ci guardano minacciosamente schifate.
-Buongiorno- , dice con il suo accento del Nord il temerario del gruppo alla biondina scemotta, – vorremmo accreditarci per la convention.
Un silenzio prolungato fa eco alla richiesta. Dopo attimi interminabili si accende la vocetta di lei:
– Si….Per quale azienda?

Mentre vediamo il nostro sogno allontanarsi inesorabilmente lui, Flavio, il capo della nostra congiura ai danni del Comune di Roma, gioca la sua ultima carta. Sfoderando il suo migliore sorriso le fa, con l’inconfondibile parlata: -Beh signorina, metta ‘Commissione Europea’ .
Allora quella, senza colpo ferire, digita veloce tasti sul computer che sputa, dopo qualche secondo, dei cartellini bianchi dove troneggiano le nostre credenziali.
E cosí, complici della deficienza della ragazza in tailleur alla quale dio non distribuí gli stessi talenti del mio caro ospite, entriamo vittoriosi in mezzo ai completi grigi nel bianco ovattato dell’inaccessibile edificio, a gambe nude e ascelle pezzate, con tutta l’autorevolezza del nostro badge con su scritto il nome della nostra azienda: Meta Commissione Europea.