Artena

Mentre scendiamo le gradinate lucide di cera, ci arrivano da un cortile le voci di un gruppo di ragazzini che squarciano il silenzio intatto di Artena nel tardo pomeriggio. Il cortile si affaccia proprio su Palazzo Borghese, imponente edificio in rovina dall’aria abbandonata, con le finestre aperte sul vuoto. Soltanto una, dalla quale fanno capolino delle piantine verdi in vasi colorati, testimonia una misteriosa presenza. I ragazzi parlano una lingua straniera, e sembrano i guardiani del palazzo desolato, con quei tubi di plastica verde in mano che brandiscono come spade. Varco la soglia del loro spazio scendendo tre gradini di pietra, e mi sembra di invadere una terra che non è la mia, mossa dal desiderio di trovare l’ingresso di quella decadenza, sperando di poterla esplorare. Mentre scopro che la porta è sbarrata con dei calcinacci e qualche rifiuto sparso, sento una voce dietro di me che fa:”Buenas dias!” Sorrido, pensando che i ragazzi mi hanno scambiato per una spagnola, e quando mi volto vedo che il più grande saluta Marco con un italianissimo “Ciao”, sincero e pieno di aspettative.
Diventiamo amici, amici per dieci significativi minuti, durante i quali Ionel si cala scalzo su una scala improvvisata da una grata arrugginita, in un giardino segreto colmo di resti arrugginiti di elettrodomestici, erbacce e bottiglie di plastica, per recuperare il suo pallone. Ci chiama timidamente “Signori” e noi lo prendiamo in giro, allora cambia tono e si rivolge a me apostrofandomi con “Signorina”. Nei nostri dieci minuti di amicizia Robert mi dice che la principessa Borghese non ha voluto pagare il restauro di quel cortile, ed è per quello che cade a pezzi. Ci indica la finestra con i fiori e dice che lei vive lì, e che la possiamo chiamare, tanto lei non ha mai nulla da fare. Mentre Marco si mette a giocare a calcio con gli altri, io parlo con Alex, e gli chiedo se da grande vuole tornare in Romania o restare in Italia. Non lo sa bene, ma pensa di voler restare, anche se quest’anno lo hanno bocciato e anche se gli italiani sono un po’ stronzi, e lo accusano di fare da palo ai ragazzi più grandi mentre vanno a rubare la sera, mentre la verità è che lui va al cinema sotto le stelle di sera, e che gli piace. Mentre mi racconta divertito di questo paese dove i muri crollano su auto nuove, il gioco degli altri si fa concitato e il pallone vola nella strada sottostante. Alex scatta a riprenderlo, a piedi nudi, veloce come un felino nella foresta. I dieci minuti sono passati, e salutiamo i ragazzi augurando loro buon divertimento, anche a quello con lo sguardo triste dagli occhi blu che non ci ha neanche detto il suo nome. Mentre percorriamo l’ultimo tratto che conduce all’arco che delimita il paese, passiamo davanti a Palazzo Borghese e alziamo gli occhi alla finestra con i vasi, e ci sembra di vedere un’ombra che la attraversa fugace.

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