Estremismi Radical

‘RadicalChic’ è un termine abusato, nowadays. Nonostante ciò, e dopo tanto cercare, non trovo parola più azzeccata per definire il locale in Pigneto Street, nella Williamsburg romana. Le cameriere del sabato sera con l’aria distratta dispensano menù scritti rigorosamente con il font più sputtanato del momento, quello rassicurante e sbarazzino che inorridisce di fronte  agli amanti irriducibili del vetusto Times New Roman. Il proprietario si aggira fra i tavoli con il sopracciglio alzato, impreziosito da una goccia di sudore che tradisce un’ ansia crescente per la sua congenita incapacità nella gestione di flussi incontrollati di hipsters.

A fianco a me, la mia amica ginger-hair gesticola contro la grande assente, Miss N, che come sempre è in ritardo. Ma ecco che, mentre attendiamo senza speranza qualche starter per ammazzare la fame, lei compare trafelata sciorinando un catalogo di scuse redatto con fatica ed encomiabile originalità. 

“Per carità, siediti e sbrigati ad ordinare”, le intima ginger hair, “c’ho fame”.

“No, aspettiamo Iulo”, risponde ferma Miss N, con quel candore malizioso che solo lei riesce ad emanare. Ignorando completamente chi sia costui, e trascinata dal secondo bicchiere di Cesanese a stomaco vuoto, mi lancio in un ritratto mentale di questo misterioso amico. Lo immagino gladiatore seminudo che irrompe con veemenza nel locale per decapitare le acconciature volutamente scomposte delle cameriere brunette e catapultarsi in cucina, minacciando i cuochi indiani di far uscire immediatamente un’ amatriciana carica di guanciale e grondante sugo da presentarci trionfante al tavolo 3, per cancellare  così i nostri crudeli morsi della fame.

“Eccolo!” esclama entusiasta Miss N, ammiccando verso l’ingresso, dove una sagoma di trentenne efebico e sfocato diventa piano piano più nitida. Invece di impugnare il gladio, però, nella destra regge con delicatezza un borsello di Yves Saint-Laurent, mentre la sinistra ondeggia ad accompagnare i passi in punta di piedi avvolti da scarpe firmate Gucci.

Quando si siede di fronte a me, tendendomi una mano morta che stringo vigorosamente, mi guarda accennando un certo fastidio. Gli sto chiaramente sulle palle, a pelle, prima ancora di aver proferito parola. Mi rassegno alla cosa e mi immergo nelle conversazioni sulla scena musicale romana che Ginger hair ha intavolato con entusiasmo. Iulo tace, scusandosi che lui ascolta solo la Pausini e Ricky Martin, intervallati talvolta da buona musica da discoteca. 

I discorsi volano pindaricamente su viaggi e lavoro, fino ad approdare all’argomento principe nel quale, prima o poi, qualunque agglomerato di donne finisce: l’Amore. 

Iulo non si pronuncia ancora: ascolta distrattamente i donneschi discorsi accalorati, alzando la testa dal cellulare ogni 30 secondi, mentre con il dito continua a messaggiare furiosamente su Grinder. Quando però si arriva al culmine della questione, il Matrimonio, scorgo un guizzo che divampa nei suoi occhi.

Posa allora il telefono sul tavolo con gesto deciso e si fa scuro in volto.

Miss N gli fa: “ E tu, Iù, ti vuoi sposare?” 

Con voce nasale e sistemandosi il ciuffo biondastro, lui sentenzia seriamente: “Io sono contro i matrimoni gay. Siamo diversi, no? E allora dobbiamo esserlo fino in fondo.” Le sue dita disegnano in aria cerchi frenetici con lo scopo, forse, di rafforzare il suo pensiero.

Incerta se la sua sia una provocazione o un genuino pensiero reazionario, lo incalzo: “E cosa ne pensi dell’adozione?”

In un crescendo di enfasi degna di un paladino della Santa Chiesa, Iulo replica: “E’ contro natura, come l’omosessualità. I bambini non dovrebbero mai darli ad una coppia gay. Lo dico da gay, non è giusto. Sò tutte mignotte.”

Un silenzio carico d’incredulità cala sulla tavola, ancora vuota. Lui prosegue: “Per farvi capire meglio: se dovessi decidere  il destino di un bambino del Biafra, scegliendo se darlo in affidamento ad una coppia di froci o se lasciarlo lì a morire di fame, non avrei dubbi. A regazzì, stattene in Burundi, fidate.”

 Il suo fomento raggiunge tutta l’assurdità di una pièce di Beckett: Il giovane Hitler, guardandosi intorno con aria compiaciuta, gusta gli applausi di un’immaginaria platea acclamante quando, improvvisamente, viene risvegliato da un delicatissimo “Plin” del suo cellulare e si appresta a leggere avidamente il neoarrivato messaggio.

“ Scusate regà, devo andà qua vicino a conoscere uno co cui sto a chattà. Se vedemo tra una mezz’oretta-tre quarti. Cià.” 

E scompare, con la velocità di un capo firmato ai saldi invernali.

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